Ten of the Year 2012: ecco i migliori film secondo Festival del Cinema Italiano

Il logo del festival

Nasce, con il minimo di presunzione e il massimo di serietà, la prima edizione del Ten of the Year, indetta da Festival del Cinema Italiano che vuole, attraverso la visione e l’esperienza riguardanti le maggiori manifestazioni nazionali ed internazionali, votare i dieci film che per un motivo o per l’altro hanno segnato un’intera annata, relegando la scelta solamente a quelli passati in concorsi ed eventi. 

La scelta, nonostante l’affossamento continuo ed estenuante del cinema moderno, è stata particolarmente ardua che però rappresenta un continuo e produttivo stimolo artistico, il quale però viene confinato solamente ai festival nonostante sia apprezzato e condiviso, lasciando alle sale e agli esercenti, qualche scampolo di settima arte e una grande fetta di commercializzazione. Ecco il nostro elenco:




10. Tai Chi 0 di Yan Xiaochao
Per la sua verve steampunk, il suo connubio eterogeneo di intenti e la fusione di diversi stili in altrettante diverse epoche nella cronologia giapponese che lo rendono una pellicola innovativa che si distingue dalla massa.




9. Moonrise Kingdom di Wes Anderson
Per il suo stile perfetto e riconoscibile che mostra il picco più alto della filmografia del suo creatore, giocando tra piccoli amanti ed esistenze travagliate, violenza gratuita e influenza orientale, il tutto trasmesso con piacevole ironia.


8. Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismäki
Per il ritorno prepotente di un grande regista che tratta il tema scottante dell’immigrazione con poetico e miracoloso impatto, giostrando una storia di paese attraverso gli occhi di un giovane di colore e di un vecchio lustrascarpe.


7. The Flower of War di Zhang Yimou
Per la consacrazione a livello internazionale di uno dei registi orientali moderni di maggiore creatività, coadiuvato dall’interpretazione di Bale, da un budget di tutto rispetto e da una trattazione storica che mostra il lato perverso della guerra.


6. Hugo Cabret di Martin Scorsese
Per aver reso la terza dimensione un concetto non solo visivo, ma soprattutto artistico e per aver mostrato al contempo uno stile inconfondibile stimolato dal citazionismo più puro che regala spezzoni di grande cinema.



5. Amour di Michael Haneke
Per l’abilità con cui accorda amore, sensibilità e cinismo, spezzettando il quieto vivere senile, attraverso i due strepitosi protagonisti, portando il concetto che dà il nome al titolo ad un gradino più alto, senza età.



4. The Tree of Life di Terrence Malick
Per la dimestichezza e forza con cui mescola concetti astratti al vissuto quotidiano, fatto in questo caso di violenza domestica, perdita della fede e soprattutto di una visione onirica del significato ultimo della vita stessa.




3. Una separazione di Asghar Farhadi
Per l’abilità con cui il regista iraniano si è distinto nella narrazione, eludendo la morsa delle censura e costringendo attraverso una storia familiare ad un perpetuo moto di domande che lui stesso ci porta a comprendere.



2. Beasts of the Southern Wild di Behn Zeitlin
Per il modo con cui il regista, alla sua prima opera, gestisce il protagonista bambino, diviso tra accudire il padre malato e andare alla ricerca della madre, il tutto dipanato attraverso un cataclisma che risveglia creature preistoriche e calamità naturali.


1. Pietà di Kim Ki-duk
Per l’eccesso delle sfaccettature dei suoi personaggi, per la maestria di cui il regista coreano ci saggia in ogni occasione, strabiliando in questo caso per gestione degli interpreti, fotografia e sceneggiatura, in un affresco che chiede aiuto all’arte stessa.

Nessun commento:

Posta un commento